IL CASO. Un commercialista e gli eredi di un ragioniere venivano convenuti in giudizio da due soci al 50% di una S.r.l., la quale nel 2010 aveva ricevuto due avvisi di accertamento, così come gli stessi soci, che avevano pertanto affidato al commercialista l’incarico di valutare l’opportunità di contestare gli avvisi mediante ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale.
Il commercialista, assieme al ragioniere, valutata l’opportunità di contestare gli avvisi di accertamento, notificavano per conto della società S.r.l. all’Agenzia delle Entrate i relativi ricorsi, senza tuttavia che questi fossero firmati e muniti di firma digitale della procura alle liti e autenticazione delle sottoscrizioni. I due professionisti proponevano ricorso anche avverso gli accertamenti ricevuti dai due soci senza tuttavia confrontarsi con gli stessi, non fornendo loro alcuna informativa e non producendo alcuna documentazione utile alla difesa.
I ricorsi della società venivano dichiarati inammissibili dalla Commissione Tributaria Provinciale di Vicenza, mentre quelli dei soci venivano dichiarati inaccoglibili in base alla incontestabilità dell’accertamento nei confronti della società derivante dall’inammissibilità del ricorso. Veniva successivamente proposto appello avanti la Commissione Tributaria Regionale che – intervenuto medio tempore lo scioglimento e la messa in liquidazione della società – dichiarava l’estinzione del procedimento nei confronti della s.r.l., confermando la sentenza emessa nei confronti dei soci.
Al fine di valutare l’opportunità di proporre ricorso per Cassazione, gli attori ricevevano tutti gli atti di causa, mai ricevuti sino a quel momento. Da un lato essi valutavano negativamente la possibilità di esperire il ricorso, dall’altro contestavano l’inadempimento del mandato professionale del commercialista e del ragioniere, che avrebbero commesso gravi errori processuali e di strategia difensiva, tale da determinare l’esito infausto della lite.
Gli attori convenivano in giudizio i due professionisti avanti il Tribunale di Vicenza chiedendo la condanna degli stessi al risarcimento di quanto pagato all’AE o, in subordine, il risarcimento nella misura del maggior esborso che gli stessi avevano subito, stante la mancata informativa rispetto alla valutazione prognostica sfavorevole del ricorso.
LA DECISIONE. Il Tribunale di Vicenza, con sentenza n. 662/2020 depositata in data 26.3.2020, ha accolto le domande attoree svolte in via subordinata, condannando i convenuti a corrispondere l’importo delle maggiori sanzioni pagate dagli attori rispetto alla possibilità di una definizione agevolata dell’accertamento.
Ribadito per il Commercialista ciò che si afferma per l’Avvocato, e cioè che le obbligazioni inerenti l’esercizio dell’attività professionale sono obbligazioni di mezzi e che ai fini del giudizio di responsabilità rilevano le modalità concrete con le quali è stata svolta detta attività (e non il conseguimento o meno del risultato) “avuto riguardo, da un lato, al dovere primario di tutelare le ragioni del cliente e, dall’altro, al rispetto del parametro di diligenza a cui questo è tenuto”, il Tribunale ricorda che l’affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole del ricorso alla commissione tributaria. In particolare, il cliente ha l’onere di provare: l’esistenza del contratto d’opera professionale, la difettosa o inadeguata prestazione professionale, il nesso di causalità tra questa e il danno-evento lamentato, l’esistenza effettiva di un danno-conseguenza risarcibile.
Ciò detto, secondo il Tribunale, l’errore commesso dal commercialista e dal ragioniere (mancata sottoscrizione dei ricorsi e mandati) non è risultato sufficiente a fondarne la responsabilità, in quanto il vaglio circa il possibile esito positivo della lite, condotto secondo il principio del “più probabile che non”, ha portato ad escludere che se i ricorsi fossero stati correttamente instaurati l’esito sarebbe stato positivo.
Quanto invece alla domanda svolta in via subordinata che ha trovato accoglimento, il Tribunale ha affermato che spettava al professionista informare i clienti circa le scarse possibilità di successo dell’impugnazione, dissuaderli dal fare ricorso alla giustizia tributaria e consigliare loro le forme di definizione agevolata dell’accertamento. Trova, infatti, applicazione anche al professionista commercialista il seguente principio: “l’Avvocato ha l’obbligo di non consigliare azioni inutilmente gravose e di informare il cliente sulle caratteristiche della controversia e sulle possibili soluzioni. In particolare, sussiste lo specifico obbligo in capo all’Avvocato di dissuadere il cliente da azioni che siano manifestamente prive di fondamento (Cass. 9695/2016)”.