IL CASO. La Corte d’appello di Ancona rigettava il gravame proposto da due coniugi avverso la sentenza del Tribunale di Pesaro che aveva accolto l’azione revocatoria del fondo patrimoniale dagli stessi costituito nel 2010. Su domanda dell’istituto di credito che lamentava la lesione della propria posizione creditoria, il Tribunale aveva infatti dichiarato inefficaci tanto l’atto costitutivo del fondo patrimoniale, quanto l’atto notarile collegato di vendita della metà della nuda proprietà di un immobile effettuata dal marito a favore della moglie. Il marito, inoltre, si era costituito fideiussore della società di cui lui stesso era amministratore, al fine di agevolare la concessione di crediti da parte della Banca.
I coniugi proponevano ricorso per Cassazione avverso la pronuncia della Corte d’appello sulla base di cinque motivi, lamentando che la Corte territoriale avesse erroneamente ritenuto sussistente e sufficiente il requisito della consapevolezza del pregiudizio sulla base della ritenuta anteriorità del credito agli atti dispositivi.
LA DECISIONE. La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 8107 del 23.4.2020, ha rigettato il ricorso, condannando i coniugi ricorrenti al pagamento delle spese di lite oltre al versamento del c.d. doppio contributo unificato.
La Corte, infatti, nell’esaminare congiuntamente i primi quattro motivi, in quanto connessi, ha rilevato da un lato la corretta ricostruzione della vicenda e l’esauriente motivazione della sentenza da parte della Corte d’appello, dall’altro la corretta applicazione dell’orientamento giurisprudenziale maggioritario in materia di azione revocatoria.
Quanto al primo profilo, la Suprema Corte ha evidenziato che la S.p.A., della quale i coniugi erano l’uno amministratore nonché fideiussore e l’altro consigliere di amministrazione, era stata posta in liquidazione pochi giorni dopo la costituzione del fondo patrimoniale e dalla stipula della compravendita immobiliare. I coniugi erano quindi ben consapevoli dello stato di difficoltà economica della società; per di più il marito aveva in primo grado anche ammesso la dolosa preordinazione (aveva voluto sottrarre i beni alla prima ex moglie e sottrarli alla garanzia generica)
Quanto al secondo profilo, la Cassazione ha richiamato alcuni suoi precedenti:
- “L’azione revocatoria ordinaria presuppone per la sua esperibilità la sola esistenza di un debito e non anche la sua concreta esigibilità, sicché, prestata fideiussione a garanzia delle future obbligazioni del debitore principale nei confronti di un istituto di credito, gli atti dispositivi del fideiussore, successivi alla prestazione della fideiussione medesima, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione, ai sensi dell’art. 2901 c.c., n. 1, prima parte, in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore (e, in caso di atto a titolo oneroso, del terzo) di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (“scientia damni”), ed al solo fattore oggettivo dell’avvenuto accreditamento di denaro da parte della banca, senza che rilevi la successiva esigibilità del debito restitutorio o il recesso dal contratto“.
- “L’atto di costituzione del fondo patrimoniale, anche quando è posto in essere dagli stessi coniugi, costituisce un atto a titolo gratuito che può essere dichiarato inefficace nei confronti del creditore, qualora ricorrano le condizioni di cui al n. 1 dell’art. 2901 cod. civ. Nell’ambito della nozione lata di credito accolta dalla norma citata, non limitata in termini di certezza, liquidità ed esigibilità, ma estesa fino a comprendere le legittime ragioni o aspettative di credito – in coerenza con la funzione propria dell’azione revocatoria, la quale non persegue scopi specificamente restitutori, bensì mira a conservare la garanzia generica sul patrimonio del debitore in favore di tutti i creditori – deve considerarsi ricompresa la fideiussione. (Rigetta, App. Milano, 27 gennaio 2004)” Cass. civ. Sez. III Sent., 07/10/2008, n. 24757 (rv. 604813), in Mass. Giur. It., 2008)”.