7

LA CASSAZIONE TORNA AD ESPRIMERSI SULLA NATURA E SUGLI ONERI PROBATORI DELL’AZIONE SOCIALE DI RESPONSABILITA’ CONTRO AMMINISTRATORI E SINDACI DI SOCIETA’ DI CAPITALI.

IL CASO. Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 14397 del 2014, in parziale accoglimento della domanda proposta dai soci di minoranza di una s.r.l., disponeva la revoca dalla carica degli amministratori (e soci) per mala gestio, condannandoli contestualmente al risarcimento dei danni cagionati. 

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 4815 del 15.12.2015, riformava la pronuncia di primo grado.

LA DECISIONE. I soci di minoranza proponevano gravame avanti alla Suprema Corte. Il ricorso, articolato su cinque motivi, veniva rigettato.

Si evidenzia da subito che l’ordinanza in commento, benchè si soffermi sulla tematica “classica” della natura e dell’onere della prova nell’azione sociale di responsabilità, ha il pregio di offrire una chiara dimostrazione “pratica” delle valutazioni che sono chiamati ad effettuare i Giudici in occasione della decisione di tali controversie.

Al riguardo, risulta essere di particolare importanza la soluzione del primo motivo, in cui si contesta, tra l’altro, la violazione o falsa applicazione di legge in relazione alle norme in tema di onere della prova e, in particolare, dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 2476 c.c., con riferimento all’errato rilievo, a detta dei soccombenti, della mancata prova del fatto costitutivo del diritto azionato. Si evidenzia, infatti, come nell’impugnata sentenza i ricorrenti, a fronte della produzione di documentazione giustificativa relativa ai rimborsi per le spese di trasferta erogati agli amministratori e ai dipendenti, non abbiano provveduto a specifica e analitica contestazione.

La Cassazione, richiamandosi a costante e consolidata giurisprudenza, rileva che: “L’azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori e sindaci di società di capitali ha natura contrattuale, dovendo di conseguenza l’attore provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, mentre sul convenuto incombe l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta, fornendo la prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti.”

Inoltre specifica che “in tema di azione di responsabilità verso gli amministratori sociali, sull’attore incombe la prova dell’illiceità dei comportamenti degli amministratori medesimi. Allorquando tali comportamenti non siano in sè vietati dalla legge o dallo statuto e l’obbligo di astenersi dal porli in essere discenda dal dovere di lealtà, coincidente col precetto di non agire in conflitto di interessi con la società amministrata, o dal dovere di diligenza, consistente nell’adottare tutte le misure necessarie alla cura degli interessi sociali a lui affidati, l’illecito è integrato dal compimento dell’atto in violazione di uno dei menzionati doveri. In tal caso l’onere della prova dell’attore non si esaurisce nella prova dell’atto compiuto dall’amministratore ma investe anche quegli elementi di contesto dai quali è possibile dedurre che lo stesso implica violazione del dovere di lealtà o di diligenza.”

La Suprema Corte, in conclusione, osserva come la Corte territoriale non abbia contraddetto i principi sopra esposti, considerato che la decisone era basata sulla ravvisata insussistenza di un illecito che non poteva consistere tout court nel rimborso delle spese di trasferta, ma nel carattere ingiustificato di tali erogazioni che però, come sopra evidenziato, non aveva trovato contestazione.

Cass. Civ., Sez. I, Ord. n. 2975_2020