IL CASO. Con decisione del 23.9.2009, confermata dalla Corte d’Appello di Bologna con sentenza n. 2204 del 28.9.2017, il Giudice di merito, ritenendo che la previsione della durata della società sino al 2100 fosse da considerarsi alla stregua della previsione di una durata indeterminata della stessa, accoglieva la domanda proposta da due soci di una S.p.a. che, a fronte del divieto posto dallo Statuto, chiedevano fosse dichiarato il diritto al recesso.
LA DECISIONE. Avverso tale pronunzia la società proponeva ricorso alla Corte di Cassazione. Il gravame articolato su tre motivi trovava accoglimento.
In particolare, la soccombente lamentava, da un lato “la non corretta equiparazione della previsione statutaria di una società per azioni che prevedeva un termine finale assai lungo di durata a quella di una società per azioni costituita a tempo indeterminato, la quale comporta, ai sensi dell’art. 2437 comma 3 c.c., la facoltà di recesso dal socio” e dall’altro la “falsa applicazione dell’art. 2285 comma 1 c.c. dovendo ritenersi inammissibile l’applicazione analogica alla società per azioni della norma in discussione, dettata per le società di persone”.
La Corte, al riguardo, non riteneva possibile assimilare la società contratta per un tempo lungo ad una società contratta a tempo indeterminato, anche in considerazione della eccessiva aleatorietà alla luce delle numerose variabili che avrebbero dovuto essere calcolate nel caso concreto, in mancanza di parametri oggettivi e predeterminati, per valutare quando la durata statutaria legittimi il recesso ad nutum del socio.
Alla luce di tali considerazioni, veniva formulato il principio di diritto secondo cui: “È escluso il diritto di recesso “ad nutum” del socio di società per azioni nel caso in cui lo statuto preveda una prolungata durata della società (nella specie, fino al 2100), non potendo tale ipotesi essere assimilata a quella, prevista dall’art. 2437, comma 3, c.c., della società costituita per un tempo indeterminato, stante la necessaria interpretazione restrittiva delle cause che legittimano la fuoriuscita del socio dalla società e dovendo anche escludersi l’estensione della disciplina prevista dall’art. 2285 c.c. per le società di persone, ove prevale l'”intuitus personae”, ostandovi esigenze di certezza e di tutela dell’interesse dei creditori delle società per azioni al mantenimento dell’integrità del patrimonio sociale, potendo essi fare affidamento solo sulla garanzia generica da quest’ultimo offerta, a differenza dei creditori delle società di persone, che invece possono contare anche sui patrimoni personali dei soci illimitatamente responsabili.”
In conclusione, l’importanza di questa pronunzia risiede nel fatto che registra un radicale mutamento dell’orientamento in materia. Il precedente [1], infatti, assimilando la previsione statutaria di una durata della società per un termine particolarmente lungo ad una società a tempo indeterminato, ammetteva la possibilità per il socio di esercitare il diritto di recesso ad nutum. In verità, un timido segnale di mutamento già si avvertiva con altra recente pronunzia [2], in cui però i Giudici, sebbene non avessero attribuito rilievo alla aspettativa di vita del socio, ponevano invece l’accento, circa l’ammissibilità del recesso in parola, sulla “ragionevole data di compimento di un progetto imprenditoriale”.
Cass. Civ. Sez. I n. 4716_2020
[1] Cass. Civ., Sez. I, n. 9662 del 22.4.2013 in Giurisprudenza Civile Massimario
[2] Cass. Civ., Sez. I, n. 8962 del 29.3.2019 in Ilsocietario.it