IL CASO. Il socio di una s.r.l., chiedeva al Tribunale di Firenze
di dichiarare sciolta la società, non essendo questa più in grado di operare a
causa dei dissidi tra i soci, titolari di quote paritarie, che impedivano
l’adozione di qualunque decisione da parte dell’assemblea.
LA DECISIONE. Il Collegio, nel rigettare il ricorso, rilevava che
non sussistevano gli estremi per l’applicazione dell’art. 2484, comma 1, n. 3
c.c., considerato che l’approvazione del bilancio 2018, alla quale la
resistente non aveva partecipato, era sufficiente, a dimostrare una residua o
recuperata capacità di funzionamento dell’assemblea dei soci.
Il provvedimento in commento, nonostante la succinta motivazione,
nasconde in realtà un profilo di rilevante interesse, in quanto,si esprime su
quello che può essere considerato un tipico caso di scuola, ovvero, il caso
della società partecipata da due soci, titolari ciascuno della metà del
capitale e che votano l’uno contro le proposte dell’altro.
In tale caso, il giudice, per decidere sull’applicabilità dell’art.
2484 c.c., è chiamato a valutare se la situazione patologica dell’organo
assembleare, data dalla impossibilità di funzionamento, sia idonea (o meno) a
configurare una paralisi definitiva e irreversibile dello stesso.
Al riguardo, appare evidente, che il Tribunale di Firenze,
nonostante non lo abbia esplicitato, nel redigere il provvedimento in commento avesse
ben presente quella giurisprudenza [1], ormai
pacifica, che afferma che: “L’impossibilità
di funzionamento dell’assemblea che, ai sensi dell’art. 2484 c.c., è causa di
scioglimento della società, non si identifica con l’inattività dell’organo, ma
sussiste in tutti i casi in cui insanabili contrasti tra i soci impediscano
all’assemblea di adottare i provvedimenti necessari per la vita sociale, come
la nomina degli amministratori o l’approvazione del bilancio.”
[1] Trib. Milano, Sez. VIII, 26.6.2004 in
Diritto e Giustizia