IL CASO. Gli eredi di Fo.Em. adivano il Tribunale di La Spezia chiedendo la risoluzione della donazione effettuata dal loro dante causa in favore del Comune di La Spezia per mancato adempimento dell’onere posto a carico del donatario, oltre alla condanna del Comune convenuto al rilascio del terreno donato ed al risarcimento dei danni per l’occupazione dell’area dal giorno del deposito della domanda a quello della liberazione del bene.
Il Tribunale, in accoglimento delle istanze degli attori, con sentenza depositata in data 27 giugno 2007 pronunciava la risoluzione dell’atto donativo, condannando altresì il Comune al rilascio del bene ed al rimborso delle spese legali. Il giudizio proseguiva, invece, per la decisione in merito alla domanda di risarcimento del danno, che veniva successivamente accolta con sentenza depositata in data 15 marzo 2010.
La Corte d’Appello di Genova – adita dal Comune soccombente che, previa espressa tempestiva formulazione di riserva di gravame avverso la pronuncia del 2007, impugnava entrambe le sentenze emesse dal giudice di prime cure – dichiarava inammissibile l’appello proposto contro la prima pronuncia per tardività e rigettava, nel merito, l’impugnazione proposta avverso la sentenza del 2010, accogliendo invece l’appello incidentale degli eredi di Fo.Em. volto ad ottenere un aumento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per Cassazione il Comune di La Spezia, formulando sette motivi di ricorso. Con il primo, in particolare, il ricorrente lamentava la nullità della sentenza di secondo grado nella parte in cui la Corte, valorizzando l’intervenuta liquidazione delle spese di lite nella sentenza del 2007 alla stregua di un implicito provvedimento di separazione delle cause, aveva qualificato tale pronuncia come “definitiva”, escludendo quindi la validità della riserva di gravame formulata dal Comune e concludendo per l’inammissibilità dell’appello da questo proposto per tardività.
Osservava il Comune che, al contrario, la stessa sentenza era stata espressamente qualificata dal Giudice estensore come “non definitiva“, con conseguente necessità di far prevalere tale espressa qualificazione sui sussidiari criteri formali elaborati dalla giurisprudenza per stabilire la natura definitiva o meno delle sentenze che decidono esclusivamente alcune delle domande cumulate – tra cui, per l’appunto, quello di liquidazione delle spese legali, valorizzato dalla Corte genovese – anche in ragione dell’esigenza di tutelare il legittimo affidamento serbato dalla parte in ordine alla qualificazione proposta dal Giudice.
LA DECISIONE. Il ricorso del Comune fornisce alla Suprema Corte l’occasione per interrogarsi ancora una volta in merito ai criteri da adottare per la qualificazione di sentenze che, a fronte di un cumulo di domande tra le stesse parti, decidano soltanto su alcune di esse.
Secondo l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità – già fatto proprio dalle Sezioni Unite con le sentenze nn. 1577/1990, 711/1999, 712/1999 e 9441/2011 – tale qualificazione dev’essere compiuta sulla base di un criterio esclusivamente formale, per il quale deve considerarsi non definitiva – e dunque suscettibile di riserva di gravame – esclusivamente la sentenza che, decidendo su alcune soltanto delle domande, non adotti un formale provvedimento di separazione ex art. 279, comma 2, n. 5, c.p.c. né provveda a liquidare le spese di lite relative alle domande decise.
Nel caso di specie la Corte, pur ribadendo la propria adesione all’approccio formale già adottato dalle Sezioni Unite, si interroga in merito all’applicabilità di tale orientamento nell’ipotesi in cui, come nel caso in esame, a fronte di elementi formali idonei a far propendere per la natura definitiva della pronuncia – quale l’intervenuta liquidazione delle spese legali – sussista una contrapposta qualificazione espressamente adottata dal giudice ed idonea ad ingenerare nelle parti il “ragionevole convincimento in ordine all’effettiva sussistenza di detta natura (non definitiva, n.d.r) ed alla ammissibilità della riserva di impugnazione”.
Ad opinione degli ermellini, infatti, i criteri formali tesi a valorizzare esclusivamente l’esistenza di un provvedimento di separazione e/o di liquidazione delle spese di lite “appaiono effettivamente risolutivi ai fini della risposta all’interrogativo circa la qualificazione della sentenza nei soli casi in cui risulti però mancante una formale qualificazione da parte dello stesso giudice”, sicché, tenuto anche conto dell’esigenza di tutelare il fondamentale principio della cd. “apparenza”, risulta opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente per un’eventuale remissione alle Sezioni Unite della seguente questione di massima di particolare importanza: se, in presenza di una sentenza che decida su alcune soltanto delle domande cumulate tra le stesse parti nel giudizio, ove sussistano contemporaneamente elementi formali contraddittori tra loro, ”debba prevalere l’espressa qualificazione data dal giudice alla propria decisione, rendendo quindi recessivi i diversi indici formali della liquidazione delle spese e della separazione delle causa, destinati quindi ad un ruolo sussidiario ed idonei a risolvere il dubbio solo in assenza di un’espressa manifestazione del giudice, ovvero se debba pervenirsi ad una soluzione di segno opposto”.
La pronuncia in commento – n. 6624 del 9.3.2020 – fornisce inoltre alla Suprema Corte lo spunto per sollecitare una valutazione delle Sezioni Unite sull’opportunità di adottare un distinto criterio di qualificazione delle sentenze adottate nei giudizi di scioglimento delle comunioni, ove – ad opinione del Collegio remittente – la pronuncia che approva il progetto di divisione rinviando per l’estrazione dei lotti alla prosecuzione del giudizio dovrebbe considerarsi definitiva anche in mancanza di un provvedimento di liquidazione delle spese di lite ovvero in presenza di un’espressa opposta qualificazione da parte del giudice. In tale materia, infatti, potendo il giudice procedere all’estrazione a sorte dei lotti solo a seguito del passaggio in giudicato della sentenza che approva il progetto divisionale, la qualificazione come non definitiva di tale pronuncia legittimerebbe la riserva di gravame ed impedirebbe, per tale via, il passaggio in giudicato della sentenza, così precludendo l’estrazione a sorte dei lotti e determinando un irrimediabile stallo del processo.